La mortificazione narcisistica

La mortificazione narcisistica

21 Ottobre 2022 1 Di Enrico Maria Secci

“Mortificazione” è un termine desueto nel linguaggio comune e credo di non aver mai incontrato questa parola in psicopatologia. “Mortificare”, dal latino “mors” e “facere”, vuol dire letteralmente creare morte, o meglio indurre in ciò che resta organicamente vivo uno stato di morte emozionale. Infatti, la mortificazione non prevede l’aggressione fisica, né l’uccisione della vittima, ma la riduce alla condizione aberrante della morte vivente.

La condizione aberrante della morte vivente – la mortificazione-, consiste nella disregolazione progressiva delle proprie percezioni e, più ancora, nello smarrimento della misura e del senso di se stessi, dei propri sentimenti e della modulazione delle emozioni, delle azioni e delle decisioni.

Chi esperisce la mortificazione si sente ovattato, apatico, ma per contrasto avverte un’immensa vulnerabilità. Nella mortificazione non si sente niente, ma si prova tutto e tutto è amplificato insopportabilmente: una goccia di pioggia? Uno tsunami; il silenzio? Un boato assordante! … e così via, una carezza mancata ti trafigge; persino gli amorevoli consigli degli amici diventano venefici e possono scatenare sensazioni dolorose d’incomprensione e di abbandono.

Per quanto invisa al lessico corrente della psicopatologia ufficiale, la “mortificazione” descrive come nessun altro vocabolo la dinamica e la condizione di chi vive o ha vissuto un “amore” con una o con un narcisista patologico. Ho smesso di contare le volte in cui, in psicoterapia, dipendenti affettivi di ogni genere, età, orientamento sessuale, razza, religione e livello socioculturale mi hanno raccontato pressoché all’unisono di sentirsi mortificati.

Per le “vittime” di narcisi insani i processi, le dinamiche e le origini di quello che accade in corrispondenza all’amore malato assumono sin da subito contorni irreali, persino allucinatori. Il narcisismo, quando è patologico, porta il caos nelle relazioni e, col caos, inocula la mortificazione (il Thanatos) dove c’erano la vitalità e l’amore, o almeno l’intenzione dell’amore (l’Eros).

La sintomatologia della mortificazione è in gran parte sovrapponibile al disturbo da stress post-traumatico, e si caratterizza per la peculiare sensazione di disvalore personale, di vergogna e di umiliazione che erodono progressivamente l’autostima del soggetto. Chi è mortificato in una relazione con un o una partner narcisista finisce per disinvestire dai rapporti sociali e dalle attività  un tempo gratificanti, compreso il lavoro, e scivola gradatamente in un senso di fallimento che pregiudicherà probabilmente la capacità di reagire alle sevizie psicologiche e alle supreme torture del narcisista: il tradimento e l’abbandono.

Nella dipendenza affettiva con e da una persona narcisista patologica o perversa, il mortificare è una costante. Mummificare l’altro con l’alibi della passione, avvolgerlo nelle spire del silenzio, deriderlo, svalorizzarlo e godere (inconsciamente?) della vitalità che sacrificherà per gradi e infine ridurla in uno stato di dipendenza è la dinamica della mortificazione narcisistica più frequente e misconosciuta.

Il narcisismo patologico è mortifero di per sé, ma ciò non viene percepito in tempo da chi finisce per subire l’inevitabile processo di mortificazione, inevitabile se la persona, come accade, si lascia manipolare e scambia la triste realtà di abuso e trascuratezza gravi per il grande amore. Questo accade perché le “vittime”, uomini e donne, sono animate da una sana e prolifica istanza di Vita e questo impedisce loro di riconoscere le manovre demolitive del/della partner narcisista, sino al limbo insopportabile della dipendenza affettiva o, talvolta, sino alla malattia o la morte.

Enrico Maria Secci
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