
Quando una storia finisce per paura
Il desiderio di amare e di sentirsi amati è un’esperienza universale radicata negli esseri umani, e non solo, sin dal concepimento. Vivere una relazione fatta di reciprocità, stabilità, condivisione, sicurezza e progettualità è la condizione più favorevole allo sviluppo e alla conservazione della specie e ciò rende centrale nell’esistenza di ognuno il tema del legame amoroso.
Così, l’affettività è senza dubbio l’epicentro della psicologia, l’area su cui convergono inevitabilmente ricerche, studi e osservazioni cliniche volti a indagare i dinamismi della mente e delle relazioni interpersonali allo scopo di aiutare, se necessario, chi nel corso della vita incontrasse difficoltà significative nella sfera emozionale.
Ammalarsi d’amore. E’ sempre più diffusa la consapevolezza che ci si ammali d’amore e la dipendenza affettiva, data dall’incapacità di risolvere un legame nonostante il dolore e l’infelicità che ne scaturiscono, catalizza l’interesse dei clinici e, grazie a libri di successo e ai media, è un argomento noto anche i non addetti ai lavori. Ma c’è un altro aspetto del “mal d’amore”, poco divulgato e scarsamente esplorato in ambito scientifico: la philofobia.
La paura di amare. “Philofobia”, termine di etimologia greca, significa paura dell’amore e descrive la condizione in cui una persona patisce in modo stabile e continuativo reazioni ansiose, o autentiche crisi di panico, quando sperimenta emozioni di intimità, oppure si approccia a persone che nutrono nei suoi confronti sentimenti romantici e attrazione fisica.
Chi soffre di philofobia conduce un’esistenza apparentemente normale perché nella maggior parte dei casi riesce a mantenere relazioni amicali, dimostra capacità lavorativa e partecipa senza particolari difficoltà a diversi contesti sociali; ma in qualche caso, manifesta rigidità, chiusura ed evitamento “anomali” e apparentemente irragionevoli o tende a strutturare con gli altri rapporti superficiali e scarsamente coinvolgenti sul piano psicologico.
La philofobia può rimanere latente per una vita nella misura in cui la persona previene la possibilità di un intenso contatto emotivo con un’altra, e riesce a razionalizzare le cause della propria refrattarietà all’intimità con argomentazioni “logiche” e intellettualizzazioni, a volte molto sofisticate. Tuttavia, chi soffre di questa fobia convive anche con un interesse e una tensione verso l’innamoramento che lo/la spingono prima o poi a ricercare e a cimentarsi in relazioni intime, almeno sino a che non compaiono i sintomi.
La sintomatologia. La philofobia si manifesta nelle situazioni in cui incontra una persona che lo colpisce emotivamente o che trova attraente, oppure nei casi in cui incrocia nella propria rete sociale qualcuno che si interessi a lui oltre l’amicizia. I sintomi fisici sono agitazione, nervosismo, tachicardia, “respiro corto”,sudorazione eccessiva, tremori e/o formicolii delle mani, mal di testa, diarrea o impellenza urinaria. Sul piano psicologico, la philofobia è associata al desiderio di scappare e ad un ingiustificato sentimento di vergogna motivato dall’idea sgradevole di sentirsi giudicati dall’altro/a, o da lui manipolati in qualche modo.
Per molti aspetti, la paura dell’amore può esporre chi ne soffre alle conseguenze cliniche di altre fobie specifiche, codificate e riconosciute nei manuali diagnostici come la fobia sociale e l’agorafobia. Oppure, il conflitto interiore e la solitudine che ne derivano possono dar luogo a sentimenti di amarezza, cinismo, pessimismo, senso di inadeguatezza, tristezza e idee ricorrenti di inutilità e di esclusione.
La philofobia può condizionare significativamente la salute mentale di chi ne soffre e influire negativamente sulla vita di chi lo circonda. A differenza di altre fobie specifiche, infatti, la paura di amare può non essere del tutto cosciente ed essere, di volta in volta e a lungo, attribuita al contesto, mentalizzata, proiettata all’esterno, oppure riportata a scompensi più o meno transitori di natura medica che giustifichino l’indisponibilità a proseguire la relazione appena iniziata.
Ghosting e philofobia. Uno dei criteri diagnostici non ancora inscritti nella psicodiagnostica di questa particolare fobia, è la reiterata tendenza a “sparire” improvvisamente dopo aver esperito una relazione emotivamente intensa. Telefoni spenti, cancellazione dai social-network, rifiuto di comunicare. Reazioni forti, o fortissime, alla richiesta di spiegazioni; reazioni che possono sfociare nella minaccia di ricorrere a tutele legali e nell’accusa di stalking.
Gli psicologi americani chiamano questa modalità “ghosting”, da “ghost”, fantasma. Come un fantasma, chi patisce la philophobia può sparire all’improvviso a causa della forte angoscia generata dal presentimento di un’intesa intima, profonda, sensuale. Come un fantasma, il philofobo si smaterializza nell’ansia, nella paura, si rende invisibile all’amore, nonostante lo desideri. Così, alcuni collezionano “storie”, che però non riescono a vivere, che i sintomi li inducono a chiudere dopo poche pagine. Si sentono come analfabeti affascinati dai libri, li accumulano e poi di rado possono andare oltre la copertina, per quanto l’abbiano accuratamente scelta. Tutte quelle pagine li terrificano e sono distolti dalla convinzione che se dovessero impegnarsi, la relazione diventerà un problema grave e porterà alla disfatta.
In realtà, come accade classicamente nella clinica delle fobie, il philofobo ha tutte le risorse per superare il limite tracciato nella sua mente e nel suo inconscio alla possibilità di vivere l’esperienza meravigliosa di amare. Per stare nella metafora, chi ha paura dell’amore non è affatto un analfabeta … sa leggere, ma teme di non poterlo fare, perché è condizionato dalla convinzione limitante che amare qualcuno sia una sorta di “compito” o che l’altro possa in qualche modo illuderlo, per poi svalutarlo e abbandonarlo. Di qui la difesa del “ghosting” e, più in generale, la rinuncia al contatto, motivata dal timore di essere invasi, o di “perdere il controllo” sul proprio equilibrio, decisamente illusorio.
A volte, il philofobo, o la philofoba, si richiudono nell’aura fascinosa di una torre incantata, dove, patiscono passivamente la propria solitudine, odiano i sintomi che la innescano e disdegnano chi, dal basso, li/le “corteggia” e rischia di comportarsi come quelle zanzare mortalmente attratte dalle trappole elettriche su una terrazza d’estate.
La paura d’amare (e di essere amati) può non emergere mai come un dato consapevole e, per questo motivo, è importante che chi si innamora di un philofobo o di una philofoba possa riconoscere il problema e saperlo correttamente attribuire all’altro, anziché, come accade spesso, soffrire indicibilmente per la classic
a sparizione del partner o incaricarsi rovinosamente della missione di “salvarlo”.
Enrico Maria Secci
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Ciao Valentina, credo che non esista fobia peggiore, perché preclude la possibilità di sperimentare e lasciarsi andare all’amore. Credono che ad avere il controllo delle emozioni guadagnino in sicurezza ed in serenità, invece non fanno altro che evitare di affrontare la fobia. Alla fine un philifobo, se non trova il coraggio di affrontare i suoi mostri interiori, scapperà invano, in quanto sentirà sempre il bisogno dell’altro, un apparente senso di libertà ma allo stesso tempo il desiderio di avvicinarsi all’amore. Come un elastico: più la relazione diventa intima, più si sente la tensione…
Sto vivendo una storia molto travagliata con un philofobo, e spero che, trovi il coraggio di affrontare la fobia con l’aiuto di uno specialista. Alla fine vivere una storia d’amore serena e sana è un’esperienza che non ha pari, in termini di benessere, e che tutti dovrebbero sperimentare. Ed è un vero peccato perdere l’opportunità di viverla. L’amore è una cosa meravigliosa!
Ho trovato molto interessante l’articolo. Sono appena stata vittima di ghosting da parte di un uomo in cui ho sempre fiutato delle problematiche ma solo ora ho capito che si trattava di philofobia.
Eppure i segnali c’erano tutti: ha da subito dichiarato che non voleva nulla di serio, nei fatti era interessato a me ma la sensazione è sempre stata che per un passo che faceva in avanti subito ce ne erano 10 indietro. Diceva che non voleva sentirsi oppresso, voleva essere libero. Non ho mai fatto pressioni ma a volte con questa gente un po’ di insicurezza viene quindi, ogni volta che chiedevo spiegazioni perché percepivo un suo allontanamento, la risposta era sempre una: non voleva nulla di serio. (Contando poi che io sono una di quelle che ogni tanto cerca conferme…deleterio per un philofobico)
Tutto questo mettendosi subito sulle difensive e vedendomi come un nemico presunto che voleva privarlo di ogni sua libertà. Cosa assolutamente non vera perchè conosco l’importanza di rispettare gli spazi altrui. Il comportamento era di una persona tranquilla quando ci sentivamo, ma non mi spiegavo perché ogni volta che dovevamo vederci entrava in ansia, si innervosiva e diventava “ostile”, cosa che durava almeno una mezz’ora appena ci vedevamo farcita da uno straparlare ingiustificato.
Ora è tutto chiaro, so che probabilmente non lo sentiró mai più, è sparito chiedendomi prima come stavo e poi spegnendo il telefono senza mai più averlo riacceso. Mi dispiace per lui perché il buono ce l ho sempre visto, perché so che questa implosione gli causa sofferenza. Non so se è sempre stato così o la morte recente di entrambi i genitori per malattia gli ha procurato un trauma. Essendo donna, da buona crocerossina mi piacerebbe aiutarlo, fargli capire il mio sostegno ma so che per prima cosa devo tutelare me stessa, perché quando vuoi bene a qualcuno le sparizioni fanno male eccome!
Mi sono strada facendo rimproverata di non essere riuscita mai a trovare un modo corretto per comunicare con lui, lo percepivo come compresso…ma probabilmente qualsiasi modo non sarebbe andato bene, non voleva vedere nè capire una realtà diversa da quella che si era costruita nella sua testa per quanto mi sforzassi di spiegare e avere pazienza.
Spero di essere d’aiuto a chiunque abbia sperimentato la stessa situazione e a chi ci si trova forza e coraggio!