
L’amicizia a quarant’anni e la “solitudine funzionale”
Tra le relazioni umane l’amicizia è senza dubbio la più nobile, perché a differenza dell’amore romantico è meno soggetta alle sollecitazioni della seduzione sessuale, all’idealizzazione e alla dipendenza relazionale. Tuttavia i rapporti amicali sono anche quelli su cui, superata l’adolescenza, investiamo meno e per questo possono gradualmente sbriciolarsi come ponti lasciati a se stessi, alle intemperie e all’inevitabile erosione del tempo.
L’amicizia è il ponte più solido possibile tra l’altro e noi, tra il passato e il presente, un confine senza dazi, senza contrabbandi e opportunismi. Idealmente l’amicizia è la dimensione affettiva che travalica l’egoismo, la manipolazione, la precarietà e la paura implicati troppo spesso nei “sodalizi d’amore”, unioni che possono provocare l’affievolirsi o l’interruzione di rapporti amicali.
Il sentimento dell’amicizia cambia nelle diverse fasi della vita. Gli adolescenti lo vivono con particolare pathos, stabiliscono legami prossimi alla simbiosi che immaginano eterni.
In una fase così delicata dell’esistenza il ruolo di un amico è quello di alleviare il timore e l’ansia del confronto col mondo esterno quando arriva il momento di guadagnare autonomia rispetto alla famiglia d’origine che non può più provvedere in toto ai bisogni affettivi e di relazione dei figli non più bambini.
Gli amici dell’adolescenza restano indimenticabili, perché contribuiscono in modo significativo, se non decisivo, alla nostra maturazione. Questi rapporti funzionano come autentiche “palestre relazionali”, ci allenano all’affettività e contribuiscono alla formazione di convinzioni, credenze e valori riguardanti noi stessi, gli altri e il mondo.
Qualche volta gli “amici ragazzini” continuano ad accompagnarsi nella vita e superano insieme le rispettive trasformazioni, senza che le differenze emergenti dal consolidamento delle loro identità alternino negativamente l’affetto reciproco.
Ma di frequente con l’andare dell’età accade che i “vecchi amici” diventino “amici vecchi”, persone che si finisce per incontrare sempre meno, con cui si condivide sempre meno, sino a non ritrovarsi più, in certi casi nemmeno per un caffè.
Per una sorta di de-sensibilizzazione progressiva, il sodalizio originario si scioglie senza rancore e senza la piena consapevolezza della perdita. Le priorità emergenti dell’età adulta -per esempio il lavoro, le scelte di coppia e il diventare o no genitori- possono offuscare antiche amicizie, mentre la possibilità di stringerne di nuove tende a decrescere in proporzione all’età.
Importanti in ogni momento della vita, gli amici sono cruciali anche dopo i quarant’anni perché questa fase dell’esistenza si accompagna a cambiamenti significativi nella vita professionale e personale. Affrontare i mutamenti e le crisi senza il calore, l’ascolto, la comprensione e l’aiuto di amici sinceri è un fatto più frequente di quanto si creda e può incidere notevolmente sulla capacità di far fronte ai problemi.
Non a caso, la qualità delle relazioni sociali è correlata al benessere psico-fisico e alla longevità, mentre la carenza o la superficialità in ambito amicale sembra sfavorire la salute complessiva dell’individuo.
Purtroppo tra i giovani adulti di quarant’anni, quelli un tempo considerati persone di mezza età, la solitudine è un elemento ricorrente, data la carenza di agenzie di socializzazione diverse dal puro intrattenimento e la scarsa sensibilità della politica ai bisogni emotivi dei cittadini.
Spesso si tratta di una solitudine non fattuale, ma funzionale: si hanno diverse frequentazioni, reali e virtuali, ma poche o nessuna rispondono realmente e profondamente al sentimento aureo dell’amicizia relegato nella memoria dell’adolescenza o perduto a causa di delusioni, travisamenti o tradimenti che hanno scoraggiato, quando non compromesso, la nostra capacità di stabilire nuove amicizie.
L’etimologia della parola amicizia deriva dal latino amicus ed è il vocabolo ontologicamente più vicino alla parola amore, perché amicus è colui che ama ed è amato. Questo termine è abusato, come sappiamo, oltraggiato e abusato in una confusione lessicale diffusa dai social-media per i quali diventare “amici” vale un click e qualche like.
Nel percorso esistenziale che ci avvicina all’età adulta, la attraversa e la supera non tutti avanzano con la consapevolezza che il valore dell’amicizia rappresenti uno dei più preziosi possibili e pertanto non può essere edulcorato a falsificato, pena la solitudine in quei passaggi dolorosi implicati nel ciclo di vita: la malattia e la morte dei genitori, le crisi coniugali, le difficoltà emotive che intervengono nella crescita di un figlio e così via.
Tra gli effetti benefici dell’essere amici di rado si annovera la terapeutica certezza di essere significativi per qualcuno, di sentirsi utili, di appartenere a una sfera umana calorosa, un’atmosfera che protegge dal senso di alienazione, di differenza e di isolamento che troppo spesso ammorbano i nostri sentimenti e li offuscano.
Perciò può servire ricordarsi di telefonare a chi riconosciamo come un amico o un’amica e soprattutto di fare in modo di vederlo/o senza naufragare in confortevoli scambi su WhatsApp e faccine sui social-network.
Può sembrare ovvio, ma conosco tante persone che stoccano nel dimenticatoio di Internet i rapporti più importanti per dedicarsi alacremente alla vita sentimentale e sessuale -non necessariamente in quest’ordine- e ritrovare nel momento del bisogno la solitudine funzionale di rapporti ormai ossidati, formali, ormai evaporati nell’affetto e non più così risonanti come pensavano.
Enrico Maria Secci
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