I vissuti dell’abbandono (terza parte)

I vissuti dell’abbandono (terza parte)

20 Gennaio 2019 2 Di Enrico Maria Secci

Continua da “I vissuti dell’abbandono” *prima parte e **seconda parte

Rabbia

La fase della rabbia arriva come un balsamo su una ferita, brucia ma disinfetta, duole. ma prepara alla guarigione. Quando riusciamo a riconoscere la crudeltà malcelata che l’amato/a ci ha deliberatamente inflitto, siamo sulla strada della consapevolezza. L’altro non è la figura angelicale cui ci aggrappiamo, non è del tutto buono e sincero come lo abbiamo creduto e che lui stesso vuole credere di se stesso.

È probabilmente un individuo confuso, sofferente, scompensato, un bambino che ha gettato via rabbiosamente noi e la relazione perché incapace di reggere le responsabilità crescenti, l’impegno nel risolvere le difficoltà e non ha avuto il coraggio di affrontare contrasti e differenze nel modo costruttivo necessario perché l’amore evolva e la relazione maturi.

Ecco la rabbia: nessuno può permettersi di trattarti come un sacco della spazzatura, nessuno può farti ingollare pillole dorate pur di sfuggire alla realtà dei suoi problemi, come ha fatto a lungo prima di scoppiare travolgendo te, la tua vita, i tuoi sentimenti senza alcun riguardo, senza il minimo preavviso.

La prima conseguenza della rabbia è cercare di rincontrare il partner per parlare dell’accaduto e affrontarlo con fermezza. L’auto-colpevolizzazione è finita, l’ossessione del tradimento è sullo sfondo e ora l’attenzione si focalizza finalmente sull’artefice del brutale distacco. Ma se ci si attende che informare il partner supernova della nostra rabbia possa smuovere le acque e aiutarci a ricavare le vere motivazioni all’abbandono, prepariamoci a ricevere un’altra delusione. Lui/lei si chiuderà in se stesso/a ancor più, accusandoci per la nostra “aggressione” e ripetendo le sue ragioni:

  • “… i miei sentimenti per te sono cambiati e non so perché.”;
  • “ … non ho avuto il coraggio di parlarti prima perché non volevo che soffrissi.”;
  • “ … ho cercato di salvare il rapporto, ma poi sono scoppiato/a”.

Chi non sia coinvolto nella scena può facilmente cogliere l’infantilismo disarmante di queste affermazioni, può riconoscere nell’espressione cerea e vacua del/della supernova le conseguenze di una profonda inibizione emotiva e avvertire nella rigidità del suo corpo e nella monotonia dell’eloquio i segni di un disagio psicologico che, ora che l’amore è finito, può palesarsi dopo anni di repressione e di mascheramento.

Grazie alla rabbia il/la partner abbandonato/a, inizia a intuire che le cause del dramma vanno al di là della relazione e tangono appena i suoi “errori”, trascuratezze o atteggiamenti “sbagliati”. Ma chi ha abbandonano non ha ancora, o non avrà mai, questa consapevolezza e continuerà a reiterare le tesi della casualità e del disastro accidentale.

Messo alle strette potrebbe contrattaccare e tentare alcune spiegazioni:

  • attribuire il “botto” a differenze valoriali, un tempo considerate preziose – e lo erano! – differenze diventate (silenziosamente!) insopportabili;
  • “confessare” una perdita del desiderio dell’intimità sessuale, anche questo sottaciuto per mesi;
  • accennare a episodi di incomprensione avvenuti negli anni, che all’insaputa del/della partner, non sarebbero stati realmente risolti.

Queste false piste offerte alla “vittima” come possibili cause del fulmineo disamore hanno lo scopo, per lo più inconscio, di attenuare la rabbia e, di nuovo, evitare la possibilità di un confronto autentico. La manovra di chi lascia, a questo punto, è quella di ridistribuire le responsabilità, così da togliersi dall’assurdità della situazione creata, che non è più sostenibile per entrambi.

In una coppia sana, in una coppia terrestre, le pur esili motivazioni fornite potrebbero avviare un processo di riparazione congiunto, portare a riconsiderare la separazione immediata e prendersi del tempo insieme per affrontare la crisi o costituire le premesse per una psicoterapia di coppia. Ma il/la  partner supernova rigetta quasi sempre ogni opzione, di nuovo con argomentazioni puerili: “Non me la sento”, “Finché le mie emozioni per te rimangono queste, è tutto inutile”.

L’effetto è quello di gettare palate di cenere sul fuoco della rabbia dell’altra/o e ricondurla/o a una situazione di blocco, di impotenza e di frustrazione. Il risultato è quello costernante di un’implicita e sostanziale non-definizione del rapporto, confermata da una pletora di comunicazioni contraddittorie dal soggetto supernova che seguiranno l’esplicitazione della rabbia del compagno/a abbandonato/a:

  • sms o telefonate “interlocutorie”, come se nulla fosse accaduto;
  • brevi messaggi di “buongiorno”, qualche “ti voglio tanto bene”;
  • l’invio di “ambasciatori”, amici o parenti, con la consegna indiretta di testimoniare la prostrazione in cui la rottura che ha voluto lo/la sta gettando;
  • l’utilizzo di social network per manifestare il dolore e la costernazione per il distacco “inevitabile”.

Attesa

Se la “vittima”, a questo punto, non ha la prontezza di sottrarsi al buco nero che si sta creando dopo l’esplosione del rapporto e se non trova la forza di opporre all’ambiguità dell’amato il bisogno di definire con chiarezza confini interpersonali congruenti con la “scelta” dell’altro, corre i rischi del congelamento emotivo e della dipendenza affettiva.

Compiere questa definizione significa assumersi a pieno la responsabilità di adeguare la relazione alla dichiarazione di “fine dell’amore” fatta, e ripetuta, dal partner: niente più contatti, messaggi, telefonate, incontri “chiarificatori”. Finire e basta.

Così va quando le coppie adulte si separano, soprattutto quando uno dei due non ha avuto il tempo o la possibilità di elaborare il trauma. Senza più pensare al passato perduto o al futuro, magari a un’amicizia dopo il crollo del legame amoroso, chi subisce l’amore supernova e la sua magmatica assenza di senso può salvarsi attraverso l’impegno e la responsabilità di interrompere ogni comunicazione o contatto con l’ex.

Ufficializzare la fine, integrarla nella propria vita e muoversi di conseguenza richiede un grado di consapevolezza e un equilibrio notevoli. Sono risorse spesso carenti in chi attraversa lo shock della perdita e vive nel pieno le contraddizioni della crisi con un’incredulità al limite dell’ingenuità. La speranza che prima o poi l’amato/a si ravveda e ritorni nel nido, la speranza di poter rimediare attraverso il dialogo, attraverso la comprensione e la compassione reciproche diventano un tarlo.

Così arriva la fase dell’attesa, caratterizzata dalla disciplina, dal silenzio paziente, dal desiderio. L’attesa di un ritorno tanto magico quanto è stato nefasto l’abbandono conduce a comportamenti al limite del supplizio.

Ho conosciuto uomini e donne che hanno rinunciato per mesi ad uscire di casa sopraffatti dagli attacchi di panico, ostaggi dell’apatia, soggiogati dalla disperazione. Persone che, al di là della propria consapevolezza, hanno continuato a presidiare la casa come un nido, sconsolatamente, nell’inconscio anelito del ritorno.

Quanto più la storia supernova rimarrà inspiegabile, tanto più è probabile che il trauma, inizialmente conclamato da insonnia, scoppi di pianto, depressione e angoscia, diventi silente e continui a distruggere, mentre l’individuo si sforza di apparire sereno agli altri, ma soprattutto a se stesso. La fase dell’attesa, infatti, prevede una sorta di mascheramento, di maquillage psicologico finalizzato a rendersi appetibili all’ex, che non sopporta veder soffrire la “vittima”.

L’attesa comporta un rituale macabro di seduzione che porta l’abbandonato a identificarsi inconsciamente con le modalità di nascondimento e negazione delle emozioni tipiche del funzionamento supernova.

Congelamento emotivo

Il congelamento emotivo che colpisce i partner abbandonati all’improvviso è un processo che si sviluppa gradualmente dopo la chiusura brutale, mano a mano che la persona, non avendo altre opzioni, si rimbocca le maniche e cerca di andare avanti nella vita senza tuttavia aver costruito dentro di sé una narrazione coerente e funzionale del trauma subito.

Con molta fatica, riprenderà a frequentare gli amici, ad andare a cena e al cinema, a viaggiare, continuerà a lavorare e a occuparsi dei propri affetti, ma si sentirà profondamente cambiata. Incapace di affrontare situazioni nuove, nuove relazioni senza una sorta di inibizione, un ineludibile disinteresse simile al sentimento di anedonia sperimentato dopo l’abbandono, ma schermato dalla razionalizzazione. Chi resta emotivamente congelato dopo un amore supernova diventa intransigente, mellifluo, incostante. Può diventare grigio, cinico, giudicante e, talvolta, si rende conto di vivere la propria esistenza come se ne fosse “fuori”. Nessun coinvolgimento è più possibile dopo che abbiamo guardato coi nostri occhi impotenti il suicidio di un amore palpitante di piena vita. Più o meno consciamente, il trauma non elaborato produce la comparazione continua della figura idealizzata dell’ex-partner e della relazione con gli incontri e le nuove conoscenze, che risultano sempre perdenti al confronto. Si potrebbe dire che, in qualche modo, la “vittima” dell’amore supernova finisca per identificarsi con partner che l’ha abbandonata, rivolgendo agli altri il medesimo vuoto emotivo, la stessa apatia, la stesso “immotivato” disinvestimento dagli affetti.

Questo stato di ibernazione emozionale può impedire o complicare lo sviluppo di rapporti successivi, a volte l’intensità del trauma modifica la rappresentazione dell’amore: da luogo sicuro a labirinto di botole, da nido a pozzo. Chi è stato lasciato nel malo modo delle supernova può, senza accorgersene, scivolare nel cinismo, nel fatalismo e nell’invidia, ma soprattutto rimanere imbrigliato in uno stato inconsapevole di “vedovanza bianca”, un’amarezza che si esacerberà dopo ogni contatto e/o notizia dell’ex, ad ogni festa comandata, ai compleanni e agli anniversari perduti, senza soluzione di continuità.

Enrico Maria Secci, Blog Therapy
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