Guarire da un amore finito

Guarire da un amore finito

18 Marzo 2021 0 Di Enrico Maria Secci

Il kintsugi è l’arte giapponese di trasformare i vasi rotti in ceramiche uniche e preziose utilizzando oro, argento o lacche preziose per riassemblare i cocci, ma è anche una splendida metafora su come anche le coppie possono affrontare una crisi sentimentale e tornare ad amarsi grazie a un lavoro di riparazione relazionale condiviso e consapevole.

L’oro, l’argento e le lacche del kintsugi relazionale sono la maturità affettiva, la disponibilità al cambiamento, la tolleranza alla frustrazione, la comunicazione e, soprattutto una rappresentazione realistica dell’amore. Come la pratica giapponese è ispirata dall’idea che dall’imperfezione possa generarsi qualcosa di ancora più prezioso e di autenticamente bello, così nelle relazioni d’amore dovremmo comprendere che una rottura rappresenta la possibilità di un salto evolutivo verso un’unione più salda e più appagante.

Ma nella realtà l’esperienza comune è un’altra: amori realmente felici e appaganti finiscono alla prima incrinatura. Viviamo in un tempo e in una cultura in cui uno dei partner lascia l’altro dopo anni e anni di pienezza al primo dubbio, in modo  unilaterale, brutale e traumatizzante. Il vaso intonso dell’amore una volta scheggiato non vale più niente anche se fino a poco prima era l’orgoglio e la ragione di una vita. Non è più nuovo, ora che la vita l’ha colpito “non è più quello di prima”, dunque non è più un sentimento valido e bisogna buttarlo via.

Nella visione corrente dell’amore, idealizzata e consumistica, anche il sentimento più puro è considerato alla stregua non già di una fine ceramica, ma di un banale elettrodomestico da rottamare al primo guasto o da sostituire perché non dà più quell’emozione che abbiamo provato quando lo abbiamo disimballato e piazzato in bella mostra fra i complementi d’arredo della nostra casa.

Ci sono persone incapaci di accettare il cambiamento fisiologico che occorre in una coppia nel corso del suo sviluppo, incapaci di realizzare che fasi di “disinnamoramento” possono essere affrontate e superate per accedere a un amore più vero e più profondo, unico come i vasi kintsugi. Sono persone che interrompono in modo subitaneo una relazione importante, stabile e dal bilancio felice asserendo motivazioni imperscrutabili, al limite dell’insensatezza, lasciando ai partner increduli e sopraffatti l’onere di raccogliere i cocci per conto proprio.

Così chi subisce quest’abbandono inatteso passa da un giorno all’altro dallo stato di essere umano amato e amabile a quello di mero rottame emotivo e deve sopportare la condizione di scarto relazionale a cui è stato consegnato sbrigativamente con spiegazioni enigmatiche.

“L’amore è finito, mi dispiace” è la targa burocratica apposta sul petto del rottame emotivo di turno, senz’altra dicitura, mentre sino al giorno prima c’erano cure, tenerezze, dichiarazioni, regali, progetti senza tema di smentita, senza apprezzabili segnali di irrequietezza o dubbio.

Solo chi ha sperimentato in prima persona l’assurdità di relazioni troncate in questo modo può sapere cosa comportano: lo shock, i sensi di colpa, l’odioso e ustionante sentimento dell’indegnità. Ci si trova d’improvviso gravati dal peso enorme dell’amore, che bisogna sorreggere senza l’altro, e sopportare con sgomento e dolore l’evidenza persistente del suo valore e della sua bellezza.

Si guarda sotto ogni prospettiva, si ricerca in se stessi e nei propri eventuali errori il “vero” motivo dell’abbandono. Si riguardando foto, diari, messaggi senza trovare nient’altro che amore, amore dappertutto. Ma negli amori rottamati di colpo la realtà dei fatti è che i fatti non contano: conta solo che è finita inappellabilmente, con l’ordine di gettare via il vaso perché crepato o rotto.

O l’amore è perfetto, o non lo è. Punto e basta. Questa è la superficiale “verità” di chi compie lo scempio della bellezza e si inalbera nel suo rifugio di convinzioni ingenue. Non importa se appena prima e per anni la relazione andasse bene, non importa indagare sulla natura di un ribaltamento così drastico. La parola d’ordine è fregarsene di tutto: del passato, del presente, dell’altro, del sentimento, della potenzialità sprecata, della ricchezza sperperata. Rottamare, è deciso e non si torna indietro.

Purtroppo questa modalità è molto diffusa e non solo per via di stereotipi culturali. Molte coppie funzionali vengono distrutte all’improvviso non per via di autentici problemi di relazione, ma per via di una crisi individuale profonda che ha a che fare trasversalmente o per nulla con l’amore.

Senza volerlo e senza accorgersene, chi abbandona la coppia in un batter d’occhio non è un cinico, un ipocrita, un perverso, ma una persona al crocevia di emozioni negative ingestibili relative alla sua vita personale, al lavoro e alle amicizie per esempio, che, a causa di un errore di valutazione incanala sul rapporto di coppia tutti vissuti ansiosi e depressi nascosti o palesi derivanti da ambiti soggettivi.

Chi, a prescindere dalla salute emotiva della coppia, sente di non avere il controllo sulla sua esistenza e non riesce a risolvere il distacco da altre relazioni si trova così a praticare l’inconscia ed errata soluzione di esercitare il potere nell’unico ambito in cui può: la relazione amorosa. Si tratta di una reazione evidentemente assurda, grave, lesiva e auto-lesiva, ma in momenti di scompenso psicologico appare ad alcuni come la sola illusoria modalità con cui dimostrare a se stessi di poter essere persone risolute e forti.

Questi amanti, sino a ieri autenticamente dolci e dediti credono di liberarsi del senso di inadeguatezza e di aggressività che provano fuori dalla relazione scaricandoli dentro relazione.
Non sanno il perché, come asseriscono, in quanto sono realmente inconsapevoli delle dinamiche che li confondono e offuscano l’amore, ma sarà il loro compito scoprirle e risolvere prima o poi, anziché lasciare che continuino a distruggere la loro vita.

I motori inconsci di chi “sente”, patologicamente, che l’amore si spegne come fosse una lampadina hanno sempre a che vedere con la mancata o incompleta elaborazione di un lutto o di un abbandono a propria volta subiti. Ed è triste osservare quanto di frequente chi non ha risolto un proprio trauma lo riproponga prima o poi a parti invertite su terzi inconsapevoli, in questo caso il/la partner.

Un’altra molla del lasciare di colpo una coppia funzionale scatta quando la depressione e il senso di inadeguatezza sperimentati fuori dalla coppia fa temere chi poi lascia che il/la partner, stanca/o di tante difficoltà lo/la abbandonerà per primo. Questa paura è tale da predisporre l’irrazionale piano del distacco preventivo.

Sulla base di queste considerazioni, chi viene lasciato ha bisogno di superare i sensi di colpa e può farlo se impara a riconoscere e a comprendere che l’amore è sempre stato vero, e che è stato rigettato a causa di una crisi individuale della quale occorre evitare di farsi carico. Sarebbe inutile cercare di aiutare il partner in quanto non lo consentirebbe e reagirebbe in maniera ancor più netta e glaciale, sferzando nuovi fendenti con la furia di un bambino ferito qual è.

Allora, anche se nel dolore, è importante pensare al kintsugi e, da soli, rimettere insieme i propri pezzi con oro, argento e lacche: compassione, saggezza e integrità.

Verrà un lavoro meraviglioso, unico e inestimabile, è il lavoro dell’identità e dell’equilibrio che porterà a superare l’amarezza dell’ingiustizia e a ritrovare l’amore con chi abbia a propria volta compassione, saggezza e integrità per condividerlo in tutte le sue evoluzioni e ripararlo ogni volta che necessario con la perizia dell’arte giapponese.

Enrico Maria Secci
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