Imparare l’ottimismo

Imparare l’ottimismo

30 Novembre 2020 0 Di Enrico Maria Secci

L’ottimismo è una qualità umana affascinante e una delle dimostrazioni più concrete del potere che la nostra psiche può esercitare sulla realtà. Dalla fine degli anni ’70, le indagini scientifiche sull’ottimismo hanno evidenziato che la capacità di affrontare positivamente la vita e gestire le difficoltà con un atteggiamento fiducioso e costruttivo aumenta la possibilità di raggiungere risultati  sul lavoro e favorisce lo sviluppo di relazioni affettive stabili e soddisfacenti.

Gli ottimisti sono meno soggetti a depressione, ansia, fobie e altri disturbi psicologici ma non solo, preservano l’efficienza del sistema immunitario e, secondo molti studi, godono anche di una migliore forma fisica e vivono più a lungo anche quando il loro organismo è colpito da malattie come arteriosclerosi e aids (Seligman, 2005, 2012). Per gli scettici della psicologia, le nuove tecniche di neuro-imaging, che permettono di fotografare il funzionamento del cervello, hanno dimostrato che le persone ottimiste presentano una maggiore reattività delle aree cerebrali connesse all’elaborazione delle emozioni e, rispetto ad altri soggetti, hanno livelli minori di cortisolo, l’ormone prodotto in risposta allo stress.

“Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.”
(K. Gibran)

Ottimismo ottuso e ottimismo realista. Eppure, la rappresentazione sociale dell’ottimismo é spesso associata a caratteristiche negative, come superficialità e scarsa intelligenza. Tendiamo a percepire come più “profonde” le persone cupe e tormentate in virtù dello stereotipo negativo ed esasperato dell’ottimista sciocco e svagato che nega ed evita le difficoltà e ogni aspetto problematico dell’esistenza.

Questa modalità di pensiero è indubbiamente disfunzionale ed é indicata in psicopatologia come sindrome di Pollyanna o ottimismo ottuso, non ha nulla a che vedere con l’ottimismo realista ed è tanto dannosa quanto il pessimismo.

Al di là della distorsione sociale prevalente, l’ottimismo è una forma di intelligenza molto acuta, associata alla capacità di analizzare i problemi in modo costruttivo ed efficiente e alla tendenza a considerare i fallimenti e gli eventi traumatici come circostanze singole ed eventi transitori.

L’ottimista sceglie di pensare che le proprie azioni abbiano conseguenze positive sulla realtà e coltiva la convinzione che le proprie decisioni possano influenzare positivamente il futuro (Tiger, 1979).

Per spigare l’ottimismo é consuetudine ricorrere all’esempio del bicchiere riempito per metà: il pessimista sussurra tristemente che è mezzo vuoto, l’ottimista ottuso grida al mondo che é mezzo pieno e l’ottimista realista se lo beve con grande soddisfazione.

“L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo,
il pessimista vede pericolo in ogni opportunità.”
(W.Churchill) 

Imparare l’ottimismo. L’ottimismo non è mero dato caratteriale, ovvero una qualità innata, ma dipende dal modo in cui, sin da bambini, gli individui spiegano a se stessi successi ed eventi traumatici. Chi tende a attribuire alla sfortuna o alla “vita” fatti dolorosi compie, senza averne spesso coscienza, una scelta arbitraria e deliberata che influisce negativamente sulla sua futura capacità di percepire costruttivamente la realtà e di elaborare soluzioni creative.

Viceversa, le persone che alimentano una visione aperta e flessibile in circostanze critiche, creano i presupposti per superare situazioni obiettivamente sfavorevoli e costruire realtà positive e soddisfacenti.

L’ottimismo, dunque, può essere appreso nella misura in cui riconosciamo che gran parte della nostra felicità e infelicità derivano dall’utilizzo che facciamo del nostro cervello, anziché subirne passivamente gli automatismi.

Enrico Maria Secci
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