“[…] Una vita di occasioni mancate è un’esistenza distrutta, e la mente che avrebbe dovuto dare spinta, vigore e luce alle nostre aspirazioni si trasforma in una discarica di rimpianti, di “se..:” e di “ma…”, un magazzino di stoccaggio della rabbia e della frustrazione che marciscono e suppurano, mutano dalla loro essenza di scelte evitate e di responsabilità personale in sentimenti ustionanti e radioattivi: rabbia, senso di ingiustizia, invidia, rivalsa.
Il nero pensiero delle occasioni mancate si prende tutto, ingoia i colori del mondo sino a ridurlo a una tavolozza di grigi stinti e muschiosi affollata di ombre e chiusa tra mura dall’apparenza invalicabile. Vivere di “occasioni mancate” è una filosofia inconsapevole ma molto diffusa che prospera sul terreno paludoso di convinzioni distorte su se stessi, sugli altri e sul mondo.
Nutrirsi di sconfitte senza prendersi il disturbo di combattere è una moda; passiamo più tempo a ricalcare il tragico quadretto di una società in crisi che a disegnare una nostra personale e inedita rappresentazione della realtà. In molti casi ne siamo responsabili solo in parte, perché le visioni orrorifiche di un mondo crudele e senza speranze si ereditano in modo più insidioso e permeante che attraverso il dna, passano mescolate nell’Amore e dall’amore; passano disciolte nel sangue delle emozioni, così che non ci sia il rischio di un rigetto e il nostro cervello, così, possa assorbirle per intero e metabolizzare il veleno come fosse nutrimento. Un simile contagio, però, si estende e prospera soltanto quando c’è inconsapevolezza, ovvero, purtroppo, molto spesso.
Quando ci ostiniamo a replicare pensieri e comportamenti inconcludenti e apatici, quando viviamo con pigrizia il dramma degli errori reiterati. Quando siamo inerti, delusi e cerchiamo una posizione comoda in una branda di chiodi anziché darci da fare per evadere dalla cella e dal carceriere. Perché il carceriere, in definitiva, siamo noi.[…]”